Riccardo Massironi, con il visore sul palco della realtà virtuale
Riccardo Massironi, scenografo, spazia in diversi ambiti della sua disciplina, lavorando principalmente nell’ambito della lirica e del balletto, ma cimentandosi pure con progetti per film, videogame e allestimenti di mostre. Laureato in Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, ha poi conseguito un Master in Advanced Digital Art presso la sede milanese di ImasterArt.
Dal 2013 Massironi collabora con lo scenografo Ezio Frigerio, con lui ha lavorato per spettacoli in Italia, Spagna, Germania, Svezia, Kazakistan, Russia, Cina. Dapprima in veste di disegnatore ha lavorato ai bozzetti e ai disegni tecnici, poi, incoraggiato da Frigerio, si è avvicinato ai ai laboratori di realizzazione per la verifica delle costruzioni, fino a seguire la messa in scena, sempre al fianco del Maestro. Nel 2018, con Traviata al San Carlo di Napoli, ha avuto per la prima volta l’opportunità di co-firmare insieme a Frigerio la scenografia di uno spettacolo, cui ne sono seguite altre. Ha debuttato come scenografo presso il Teatro dell’Opera di Astana nel 2018.
La maggior parte delle gallerie virtuali che si vedono in giro sono minimaliste.
Credo che sarebbe molto interessante avere un approccio più creativo e meno istituzionale nella realizzazione di questi spazi. Quel che ho visto fino adesso non mi ha convinto più di tanto dal punto di vista estetico: in genere vengono riproposti in versione digitale dei modelli di gallerie standard, con dei corridoi e delle pareti bianche con i quadri appesi. Non ho ancora visto una nuova idea di museo creato sfruttando lo spazio virtuale.
Forse bisognerebbe lavorare di più sull’estetica delle architetture virtuali. In questo senso i videogiochi hanno molto da insegnare.
Ci sono molte ambientazioni interessanti nei videogiochi. Ho lavorato diverse volte a scenografie di videogames e mi piace anche collezionare i libri dedicati ad alcuni di essi, per trarne ispirazione. Tra i miei preferiti ci sono Bioshock, Deus Ex: Human Revolution, Dead Space, Overwatch.
Adesso che le gallerie virtuali sono un fenomeno di tendenza, si apriranno nuove prospettive per scenografi e interior designer?
Sicuramente. In ogni caso, quando realizzo una scenografia o un allestimento di una mostra mi piace molto toccare e vedere quello che creo. Nell’ambito del virtuale, nel limite del possibile cercherei di avere lo stesso approccio, cercando, nel limite del possibile, di trasmettere quelle stesse sensazioni.
D’altra parte il virtuale ha anche dei vantaggi.
Certo. Pone meno limiti di spazio e meno vincoli legati all’illuminazione. In un allestimento nel mondo fisico i faretti non si possono nascondere, e comunque non si possono posizionare dove si vuole senza che interferiscano con gli elementi scenici.
La tecnologia potrebbe aiutare le gallerie virtuali ad essere più coinvolgenti?
Penso che l’utilizzo e la diffusione di visori tipo Oculus sia il primo passo per avvicinarsi a una fruizione più completa e immersiva di questi spazi. Il visore dà l’idea di essere fisicamente in un luogo, e non di essere uno spettatore che guarda uno schermo.
Sta già lavorando a progetti per il visore?
Sono in una fase sperimentale. Principalmente sto utilizzando due programmi, Gravity Sketch e Adobe Medium. Il primo è più tecnico ed è molto utilizzato anche per il car desgn, per creare forme organiche ma basandosi sempre su formule matematiche; l’altro ha un approccio simile alla scultura con la plastilina e la creta e consente di aggiungere e sottrarre all’infinito la materia virtuale. Il fatto di avere “fisicamente” l’oggetto davanti agli occhi, poterlo ruotare, muoversi attorno, è un passo avanti rispetto allo spazio bidimensionale dello schermo. In questo caso ci si proietta all’interno dello spazio di lavoro, si vede subito la tridimensionalità e si percepisce la profondità dell’oggetto.
Qualcuno ha già allestito mostre da visitare con il visore?
Un gruppo di artisti che lavora con questi software recentemente ha organizzato una mostra privata da visitare con il visore. All’interno del visore, nel menu di attesa, c’è una sorta di appartamento che si può arredare, ed eventualmente si possono creare diversi ambienti. Questi artisti hanno invitato dei loro colleghi a esporre in quell’appartamento una loro scultura digitalizzata, importata da altri programmi. In tal modo è stato creato un vernissage in VR.
Ha già creato scenografie da fruire con il visore?
Ancora no, ma vorrei fare delle sperimentazioni. Esistono già dei contenuti teatrali per il visore, e devo dire che sono abbastanza interessanti. Per esempio si può assistere a un balletto. Si viene virtualmente catapultati in un palchetto di un teatro. L’unico appunto è che c’è una leggera sfasatura rispetto a dimensioni e proporzioni: il palco appare molto più grande di quello che è in realtà. Aldilà di questo, è un’esperienza valida, anche se tenere in testa un casco alla lunga può essere faticoso, e non so se si potrebbe reggere la visione di uno spettacolo di un paio d’ore. Viceversa, può funzionare per un tour di mezz’ora in un museo.
Chi progetta allestimenti con il visore dovrebbe ragionare anche su una differente fruizione dello spazio.
Infatti. Finora anche nei videogiochi per il visore si tende ad avere un approccio abbastanza standardizzato rispetto al videogioco stesso. Il visore consente nuovi metodi di gioco, presuppone un movimento nello spazio con diverse altezze, e pochi sfruttano queste potenzialità.
Il visore introduce anche una nuova idea di mobilità. Dà più libertà, come è stato con i telefonini.
I nuovi visori Oculus Quest sono totalmente indipendenti, non serve neanche avere un computer, ho visto gente che li usava anche in aereo. Si possono usare ovunque, ma non all’aperto, per motivi di sicurezza.