Con Noovae alla ricerca delle architetture perdute e di quelle da immaginare
L’architettura in tutte le sue espressioni è al centro delle ricerche di Noovae, uno studio francese che si occupa di versioni digitali di progetti esistenti o scomparsi. Tour virtuali, rendering, mappe interattive, ricostruzioni 3D sono soltanto alcune delle tante proposte di Noovae. La loro intenzione è di portare anche nell’ambito degli studi sull’architettura il fotorealismo ormai diffuso nella cultura videoludica. Dal 20017 lo studio Noovae è nel cuore della Cité Descartes, polo d’eccellenza del Grand Paris, esempio di città sostenibile e cluster tecnologico dell’Ile de France. Abbiamo chiesto il parere di Thomas Bontems, CEO di Noovae, sui temi più attuali legati alle architetture e alle esposizioni virtuali.
Noovae tratta il virtuale in tutte le sue espressioni e in particolare siete molto attivi nel campo dei monumenti storici.
Il nostro ultimo progetto sul patrimonio riguarda la ricostruzione del monastero siriano di San Simeone Stilita, un’architettura del VI secolo distrutta dal tempo e i cui resti sono stati danneggiati recentemente da conflitti armati. Questo modello digitale è molto grande e consente ai visitatori di visitare tutte le parti del complesso, dal portico al martyrion, compreso il battistero e le strutture ospitali. Per le sue dimensioni, la sua posizione e il suo stile architettonico molto elaborato, ricostruirlo è stata una vera sfida.
Tra le vostre realizzazioni c’è la “villa du temps retrouvé” a Cabourg, un luogo dal sapore proustiano. Si potrebbe pensare a tour virtuali di luoghi letterari? Ad esempio il Grand Hotel de Balbec della Recherche?
In effetti si può pensare a tour virtuali di luoghi letterari, e più in generale a luoghi immaginari. Benché quando si parla di letteratura sia sempre difficile cercare di imporre una determinata visione, creare esperienze basate su ambienti di finzione è una maniera interessante per condividere il proprio modo di percepire questi luoghi, che hanno tante versioni quante sono le persone sulla Terra. E’ affascinante pensare che le tecnologie odierne ci consentono di rappresentare tutto ciò che possiamo immaginare e condividere ogni rappresentazione con il maggior numero di persone possibile.
Qual è la percezione del pubblico dei musei virtuali?
A causa dell’epidemia di Coronavirus, alcuni musei sono stati costretti a programmare mostre virtuali, e i visitatori hanno dovuto adeguarsi. E’ difficile dire se questo modo di fruire la cultura sia stato accolto più o meno di buon grado. Non credo che un museo virtuale possa sostituire le emozioni che si possono provare scoprendo le opere nella vita reale, ma penso che sia interessante combinare mostre reali ed esposizioni virtuali per far scoprire al pubblico elementi culturali che sono scomparsi.
A livello grafico e architettonico, a che punto siamo con le gallerie virtuali?
Praticamente tutto può essere ricreato, qualunque sia l’architettura. Ma piuttosto che cercare di creare repliche delle gallerie reali, penso che le mostre virtuali debbano puntare alla creazione di scenografie irreali e immaginifiche per immergere i visitatori in un ambiente al contempo familiare e inconsueto.
Cosa si potrebbe fare per rendere più coinvolgenti le visite alle mostre virtuali?
Forse si dovrebbe riflettere sulle modalità con cui le fruiscono i visitatori: sui mezzi pubblici, sul telefonino, di sera in streaming in televisione. Una mostra virtuale dovrebbe anche essere più sintetica in termini di spazio e di tempo. La realtà virtuale offre molte potenzialità.
Qual è la piattaforma più funzionale e soddisfacente?
I tour con foto 360 ° ospitati su una pagina web sono di gran lunga le soluzioni più accessibili, ma le esperienze di realtà virtuale sono assai più immersive. Tutto dipende da cosa si vuole offrire al visitatore.
Cosa risponde a chi critica il virtuale perché non non tutti i sensi vengono appagati?
Il virtuale non vuole sostituire il reale, offre soluzioni per permettere alle persone di scoprire cose che non esistono più o che non sono mai esistite. Se un elemento esiste ancora nella realtà e c’è l’opportunità di incontrarlo, non bisogna esitare perché ci si trova di fronte a un oggetto intriso di storia e il virtuale non permette di provare questo tipo di emozioni.
C’è un grande divario tra spazi virtuali online e videogiochi di nuova generazione. Si riuscirà a colmare questo gap?
Certo, è sufficiente osservare quanto in fretta progredisca la tecnologia. Quando ho aperto il mio studio, tre anni fa, era impensabile esportare un tour di realtà virtuale su uno smartphone. Oggi la maggior parte dei telefonini permette di fare questo tipo di operazioni, e con una qualità molto più elevata.