Noah Charney, autore di art thriller e storico dell’arte, racconta la mostra virtuale Missing Masterpieces
Grazie alle nuove tecnologie si possono immaginare numerosissime declinazioni inedite per le mostre d’arte, nei musei, nel computer, nel telefonino, o in casa propria. Per esempio, con alcuni televisori di nuova generazione è possibile trasformare lo schermo del tv in un “quadro digitale” appeso alla parete. E volendo nel corso di una giornata su quello schermo si possono avvicendare decine di quadri diversi, a dar vita a un’originale esposizione. E’ il caso di The Frame di Samsung, ideato per mostrare, quando è spento, quadri dei musei di tutto il mondo, oppure una propria galleria personale.
Ma la grossa novità è che in questo modo si possono creare anche inedite mostre virtuali, come “Missing Masterpieces”, curata da Noah Charney, storico dell’arte americano, esperto di reati nel mondo dell’arte e autore di romanzi e saggi su questi temi. Inoltre Charney è fondatore e presidente di ARCA, associazione per la ricerca sui crimini contro l’arte. Lo abbiamo intervistato per Virtual Vernissage.
Come è concepita “Missing Masterpieces”, la mostra virtuale dedicata alla storia di alcune famose opere d’arte sottratte nel corso del tempo?
Il progetto Missing Masterpieces è ispirato al mio libro, The Museum of Lost Art, che è una storia dell’arte attraverso opere perdute. L’arte può andare dispersa in molti modi, dal furto alle vittime di guerra a incidenti, incendi, disastri naturali, distruzione intenzionale e oltre. Per questo particolare progetto selezionerò alcuni bellissimi dipinti perduti e racconterò brevemente le loro storie per aiutare a rendere le persone consapevoli della fragilità dell’arte e del valore di ciò che abbiamo, e anche invitare il pubblico a partecipare alle storie stesse —Forse qualcuno avrà informazioni che potrebbero portare al recupero di una delle opere perdute? La mostra apparirà automaticamente sui televisori Samsung The Frame, in bellissime immagini ad alta risoluzione, e sarà anche disponibile online, dove le persone potranno inviare teorie, idee e suggerimenti su dove potrebbe essere l’arte.
Oltre ad essere un famoso storico dell’arte, lei anche scritto The Art Thief, un art thriller di grande successo.
Sì. Sono una specie di “professore pop” in quanto non mi interessa molto scrivere e discutere con altri professori, ma piuttosto portare l’arte al più vasto pubblico possibile. Questo è il motivo per cui scrivo per riviste e giornali popolari, conduco programmi TV e scrivo libri che sono best-seller, invece di concentrarmi su questioni accademiche.
La realtà virtuale e i mondi virtuali potrebbero essere utili per creare estensioni delle storie, da leggere in un altro ambiente?
Le mostre virtuali e quelle che impiegano la realtà virtuale possono fare molto per stimolare i non specialisti ad approfondire l’esperienza dell’arte, e io sono assolutamente favorevole.
Gallerie e musei virtuali sono diventati molto popolari. Che cosa ne pensa?
Le mostre virtuali sono un ottimo modo per portare l’arte a persone che altrimenti non potrebbero apprezzarla di persona. Possono offrire grandi opportunità di apprendimento, ma non sostituiranno mai le viste in presenza. C’è una sensazione viscerale, quasi mistica, quando si vede di persona la grande arte, una sensazione che nessuna tecnologia può riprodurre. L’arte è per tutti e sono fortemente contrario a qualsiasi elitismo quando si tratta di questo tema. Sono un professore ma non sono mai stato interessato a comunicare solo con il mondo accademico. Mi piace rivolgermi a un’audience molto vasta e aiutare le persone che vogliono saperne di più sull’arte. Per cui, quando un’azienda come Samsung ha mostrato di essere interessata a collaborare e ad ampliare la diffusione e la conoscenza dell’arte, è stata un’unione perfetta. Questo è un progetto rivoluzionario nella portata della sua esposizione, nella natura interattiva (incoraggiando le persone a scrivere con suggerimenti e idee) e nella creazione di una mostra impossibile di opere che non si possono vedere. Infine, le immagini digitali di alta qualità possono portare a notevoli scoperte. Ho scritto un intero libro sul Polittico dell’Agnello Mistico di Gand, ma è stato solo quando ho esaminato un’immagine da un miliardo di pixel che sono stato in grado di individuare nel dipinto una figura di cui nessuno aveva scritto prima, perché era così difficile da vedere con a occhio nudo, anche di persona.
Gallerie e musei virtuali hanno bisogno di un solido storytelling. Cosa potrebbero fare scrittori e storici per offrire un interessante supporto creativo?
Le mostre sono davvero interessanti ed educative solo se viene raccontata una storia: ognuno di noi risponder meglio alle storie rispetto alle idee o alle immagini da sole. Quindi è il ruolo dello storico dell’arte come narratore di dare vita alle mostre, in modo che diventino più di una semplice esperienza estetica.
Rispetto a quelli reali, i musei virtuali non possono soddisfare completamente i visitatori, perché molti sensi non vengono coinvolti. Qualche idea per risolvere questo problema?
Stiamo vivendo un lungo periodo durante il quale le mostre d’arte reali nei musei di calce e mattoni non possono essere visitate. La pandemia e i periodici lockdown non permettono di soffermarsi la folla in spazi chiusi, il che vuol dire non poter godere l’arte in pubblico. Qualcuno potrebbe considerarla una campana a morto per musei e gallerie tradizionali. Dal punto di vista degli introiti dei visitatori è sicuramente catastrofico. Ma ho la sensazione e la speranza che da tutto questo emergerà un nuovo modo di fruire l’arte, alternativo e parallelo a quello consueto, e che rimarrà quando la normalità tornerà. Di base, mi piacerebbe che le mostre virtuali si accompagnassero a quelle in presenza. Poco prima della pandemia, lo scorso febbraio, ho avuto la fortuna di fare un viaggio. Sono stato invitato a parlare a una conferenza a Gand, Belgio, organizzato dalla polizia per discutere della grande mostra “Van Eyck: An Optical Revolution“. Io e gli altri relatori abbiamo avuto la possibilità di vedere privatamente la magnifica mostra che ha riunito, per la prima volta e probabilmente l’ultima, quasi tutti i dipinti di Jan van Eyck, incluso il Polittico dell’Agnello Mistico di Gand appena restaurato, oggetto di uno dei miei libri. La mostra è stata un enorme successo, esaurita per mesi e c’era anche l’intenzione di ampliarla. Ma poi, poche settimane dopo, la pandemia ha ripreso a diffondersi e il disastro ha colpito il mondo e, naturalmente, le visite di persona alle mostre. Tornato a casa, isolato, mi sono ritrovato a fare tour virtuali di siti di interesse culturale e storico con le mie figlie di 5 e 7 anni. Non c’è un un unico sito in cui siano riuniti tutti i tour. Abbiamo dovuto cercarli. Su YouTube abbiamo trovato visite filmate e pubblicate dai visitatori; altre volte, video di guide ufficiali realizzati dalle istituzioni, o anche sistemi di realtà virtuale o di realtà aumentata in cui, nello stile dei videogames, potevamo muoverci a nostro piacimento in uno spazio e scegliere ciò che guardavamo, con il supporto di materiale didattico sotto forma di contenuti multimediali, come nel tour virtuale della tomba del faraone Ramses VI. Mi piacerebbe che questi tour virtuali fossero più numerosi, di migliore qualità, con più informazioni opzionali per chi vuole approfondire. Ciò avviene ancora raramente.
C’è qualcosa che l’ha colpito nei suoi tour d’arte virtuali?
Come per rispondere ai miei desideri, la mostra di Van Eyck ha pubblicato un tour virtuale a 360 gradi con 120 opere, diviso in due parti: una versione per adulti e una versione specifica per bambini. Viene reso disponibile gratuitamente, ma non mi dispiacerebbe fare una piccola donazione per il privilegio di partecipare da remoto a mostre così affascinanti. Vivo in Slovenia e, con i figli piccoli, viaggio il meno possibile. Ciò significa che devo rinunciare al 99% delle mostre d’arte che mi piacerebbe vedere, per non parlare delle mostre permanenti che si trovano in luoghi che non ho ancora, o che forse non visiterò mai di persona. Rendere tali tour virtuali un complemento standard sia per le collezioni permanenti che per le mostre temporanee aumenterebbe notevolmente l’esposizione delle istituzioni e delle loro mostre. Ciò è stato fatto nell’ambito dei concerti e degli eventi sportivi. Sarebbe bello che diventasse uno standard anche per le mostre d’arte.
Il virtuale alla lunga potrebbe rubare la scena al reale?
Si potrebbe obiettare che l’accesso ai tour virtuali porterà a un minor numero di persone che parteciperanno a mostre d’arte di persona. Se sei stato al The Venetian di Las Vegas, non hai bisogno di volare a Venezia, giusto? No, non funziona in questo modo. Come ha recentemente affermato Adam Gopnik in un articolo sul Louvre, l’infinita serie di selfie, merchandise e immagini della Gioconda di Leonardo ha stuzzicato il desiderio di vedere il dipinto di persona, non ha agito come sostituto per visitarlo. Un tour virtuale non spunta neanche una casella in una lista desideri. Il mio feed Instagram è per lo più affollato di foto di hamburger, ma voglio comunque mangiarli. L’interesse suscitato virtualmente, attraverso video e foto stimola la comprensione e l’interesse per ciò che vediamo. Se e quando possiamo, vogliamo comunque vederli di persona. L’esperienza dell’arte “in carne e ossa” è di un livello superiore rispetto a qualsiasi cosa virtuale: è un’esperienza sensoriale, profonda e viscerale. Ma interagire virtualmente con l’arte è di gran lunga preferibile che non poter fruire per niente di quell’esperienza. Poi ci sono mostre realizzate esclusivamente per il divertimento virtuale, come “Missing Masterpieces”.
Se potesse immaginare una nuova mostra virtuale, quale sarebbe il suo soggetto preferito?
Mi piacerebbe fare una mostra virtuale sui falsi artistici, magari impegnandomi in un gioco con lo spettatore per distinguere l’originale dal falso.