Nicolette Mandarano: di cosa parliamo quando parliamo di musei virtuali?
Storica dell’arte e digital media curator delle Gallerie nazionali Barberini Corsini a Roma, Nicolette Mandarano è una delle voci più autorevoli nell’attuale dibattito sulle nuove frontiere della museologia e della museografia. E’ stata docente a contratto di Informatica applicata ai Beni Culturali presso il Dipartimento di Storia dell’Arte dell’Università di Roma La Sapienza e attualmente è docente di Multimedialità dei Beni culturali all’Accademia di Belle Arti di Frosinone e coordina il master Digital Heritage. Cultural Communication through Digital Technologies. Sapienza -Università di Roma. Tra i suoi libri, Il marketing culturale nell’era del Web 2.0. Come la comunità virtuale valuta i musei, pubblicato nel 2014 da Guaraldi, e Musei e media digitali, testo di riferimento per questa materia di studi, pubblicato nel 2019 da Carocci e già alla terza edizione.
Che cosa pensi dei musei virtuali?
Sono molto perplessa sull’argomento. Di musei virtuali si parlava già negli anni Ottanta. Sono passati quarant’anni e ancora non ci siamo intesi su che cosa siano. La definizione di museo virtuale ad oggi non esiste, se si eccettuano le descrizioni di ricostruzioni 3D di ambienti reali o pseudo-reali. Poi, una volta appurato che c’è molta confusione in merito, bisogna intendersi sulle tecnologie da adottare, che possono essere molteplici. Il punto è sempre lo stesso: quali contenuti per comunicare che cosa? E come costruirli? Che forma devono avere? Infine bisogna capire anche quali sono i mezzi per accedere a determinate tecnologie.
Ma il virtuale può convivere tranquillamente con il reale?
Qualche giorno fa leggevo un commento di una persona che diceva “Finito questo periodo di lockdown, finirà anche l’epoca del digitale per la cultura e torneremo fisicamente nei musei”. Come se ci fosse una correlazione forzata tra virtuale e fisico. Come dire, non posso andare al museo e quindi mi accontento del virtuale. Forse invece questa dicotomia la dovremmo superare definitivamente: il digitale è altro dal reale, dovrebbe essere uno strumento per incentivare e incrementare la conoscenza, per dare ancora di più. Poi, soprattutto, non dimentichiamoci di chi in un certo museo non ci potrà mai andare. Aldilà di accedere a un catalogo tramite un gestionale, cosa sempre utilissima, poter accedere a un museo da casa propria è comunque importante.
Spesso quando si parla di digitale e virtuale, si tende a far confusione tra marketing e esperienza museale. Si tende a mettere tutto insieme, da Instagram alle visite virtuali.
Anche qui c’è una grande ambiguità sugli strumenti e sul loro utilizzo. E’ come dire che i social sono il web. Sono sovrapposizioni dolorosissime per gli addetti ai lavori, ma purtroppo comuni. Ci aiuterebbe un’educazione al digitale.
Quali tecnologie sono più efficaci per le esposizioni museali online?
Se si deve pensare alla visita virtuale di un museo, tutte le tecnologie sono utili. La Mixed Reality probabilmente è la più adatta. Ma qualsiasi tecnologia si voglia utilizzare, si deve sempre partire dal museo. Per esempio, la Mixed Reality l’hanno utilizzata benissimo in certi contesti archeologici, e con maggior difficoltà nei musei tradizionali come le pinacoteche. Ogni tecnologia va calzata sul contenuto. Bisogna capire qual è l’obiettivo e poi trovare la tecnologia più adatta. Non basta dotarsi di una tecnologia per fare il museo del futuro. Forse in futuro dovremo abituarci a passare a tecnologie personali, a prodotti che siano fruibili sui device personali, e non più a dispositivi multiutente. Non più totem e tavoli multimediali, non più multitouch.
Quali sono gli esempi più interessanti dell’utilizzo del virtuale?
Nel mio libro su musei e media digitali parlo di Thresholds, una mostra itinerante in VR ideata dall’artista britannico Mat Collishaw e dedicata al riallestimento di una rassegna fotografica del 1839. E’ un modello molto interessante perché ha una valenza contenutistica notevole.
E tra i musei più all’avanguardia nell’utilizzo della tecnologia?
Uno di questi è sicuramente il Cooper Hewitt di New York. Lì tutto è interattivo, puoi portarti a casa qualsiasi tipo di contenuto tramite il codice del biglietto: è un museo pensato per la fruizione.