Lívia Nolasco-Rózsás, il ruolo del curatore nelle mostre virtuali e il progetto Beyond Matter
Curatrice di mostre internazionali di arte contemporanea e media art, Lívia Nolasco-Rózsás è la project manager di Beyond Matter, un progetto di ricerca internazionale avviato e seguito dallo ZKM, che indaga sul ruolo del patrimonio culturale e della cultura nell’epoca dello sviluppo e dell’adozione sempre più rilevante della realtà virtuale. Il progetto pone un’enfasi specifica sugli aspetti delle concezione spaziale nella produzione artistica, nella cura e nella mediazione attraverso numerose attività e format, tra cui il digital revival di mostre storiche del passato, mostre d’arte e legate ad archivi, conferenze, residenze d’artista programmi, una piattaforma online e pubblicazioni.
Oggi ci sono molte mostre virtuali. Per un curatore è molto diverso lavorare a una mostra virtuale o a una mostra nel mondo reale?
Nella realtà lo spazio che circonda lo spettatore mentre si confronta con le opere d’arte e il loro contesto curato è dato in una mostra fisica, e la sua percezione si basa sull’intuizione a priori dello spazio, mentre una mostra virtuale può essere costruita da zero, secondo il concetto curatoriale. Poichè lo spazio è un mezzo curatoriale importante, ha un impatto fondamentale sul modo in cui i messaggi vengono trasmessi, e nel modo in cui vengono organizzati i manufatti, le opere d’arte, oggetti, i suoni e le informazioni materiche. Nello spazio virtuale il significato e il ruolo della rappresentazione, che è comunque un termine molto complesso, si sposta nell’ambito virtuale man mano che l’aura dell’opera d’arte svanisce. Il virtuale, inteso come proxy senza l’azione della materia, è popolato da avatar, siano essi di visitatori o di manufatti; la loro interrelazione può essere guidata dal curatore in modi impensabili negli spazi fisici. Reti, connessioni e associazioni che nel mondo fisico possono essere accennate, possono essere evidenziate in modo dinamico in uno spazio espositivo generato dal computer.
Quale dovrebbe essere la formazione per un curatore di mostre virtuali?
Imparare facendo è probabilmente il modo migliore, in particolare nel caso di un campo che si sta (re) inventando. Tuttavia, un curriculum che comprenda la storia delle arti nella loro interdipendenza con la tecnologia, un tipo di estetica con un’enfasi speciale sulle ontologie e i vari approcci filosofici alla nozione di spazio, la conoscenza di reti e attori, non guasta. Siamo in un periodo di transizione e ci sono alcune mostre create per il mondo reale semplicemente trasferite nel web.
Nel futuro prossimo vedremo più mostre pensate per la dimensione virtuale?
Sebbene sembri inevitabile una certa proliferazione, personalmente spero di vedere progetti che producano contenuti medium-specific per spazi fisici e virtuali, indipendentemente dall’argomento scelto. Creare copie di spazi reali non è una risposta sostenibile per gli spazi creati digitalmente. Ora, nel bel mezzo di una pandemia c’è chiaramente una forte richiesta di mostre online per sostituire quelle fisiche chiuse, ma i format attualmente elaborati continueranno ad avere un impatto anche dopo che il periodo di distanziamento sociale e lockdown sarà terminato. Gli spazi espositivi virtuali online potrebbero funzionare come elementi complementari agli spettacoli fisici e viceversa. In entrambi i casi i creatori e i curatori di questi spazi dovranno offrire approcci e contenuti diversi nella parte virtuale e in quella fisica. Inoltre, stanno aumentando le esperienze di realtà aumentata in locale incorporate nel contesto del museo (il mio preferito è ancora il progetto AR del MoMA avviato nel 2018) o negli spazi pubblici (vari progetti di Acute Art utilizzano spazi pubblici per mettere in scena opere d’arte in AR commissionate, lo ZKM|Karlsruhe ha presentato opere d’arte in AR in uno spazio pubblico nel quadro dei programmi dedicati alle arti multimediali).
Come dovrebbe essere concepito un museo creato appositamente per mostre virtuali?
È una domanda delicata, probabilmente bisogna prima capire come va intesa la definizione del termine “museo” in un’epoca in cui gli spazi possono essere generati digitalmente, possono essere popolati di opere d’arte e offrire possibilità di interazione ai propri fruitori. D’altra parte, i musei sono costrutti modernisti occidentali e la loro stessa nozione dovrebbe essere de- e ricostruita per il presente e il futuro, quando è prevista una proliferazione di musei fisici e virtuali. È particolarmente importante tenere conto dell’infrastruttura dei musei virtuali che sono online e che fanno parte di un network. Internet è un costrutto dinamico minacciato dalla frammentazione, dalla sorveglianza e dalla tecnocolonizzazione. Dipende dalla geografia ma non può essere localizzato, il suo spazio è radicato nello spazio euclideo, ma distorce le sue coordinate, intrecciando dimensioni che prima erano estranee l’una all’altra. Se un museo virtuale è costruito su questo terreno, dovrà tenere in considerazione la specificità del sito nei non-luoghi di Internet. Ma i musei virtuali non devono essere necessariamente intangibili e collegati in rete, potrebbero essere incorporati in spazi fisici, sebbene offrano un’eperienza immersiva ai loro visitatori e quindi li spostino. Penso che a questo quesito si possa rispondere solo in modo esperienziale, considerando tutte le circostanze.
È in corso un dialogo tra curatori, artisti e architetti per definire i nuovi spazi delle gallerie virtuali, le loro funzioni e i loro contenuti multimediali?
Queste professioni sono complementari. Oltre alla collaborazione tra questi attori, per creare mostre digitali è necessario il contributo di media designers e di professionisti dell’User Experience designers e dell’User Interface. È un campo relativamente nuovo per molti, meno per alcuni artisti, che sono stati in prima linea nello sviluppo tecnico e sono stati tra i primi a adottare o addirittura a sviluppare l’information technology. Il Virtual Museum di Jeffrey Shaw del 1991 è un ottimo esempio di opera pionieristica di un artista. Negli ultimi trent’anni molte cose sono cambiate e creare esperienze virtuali non sono più esperimenti di pionieri solitari.
Qual è il modo migliore per visitare una mostra virtuale? Le gallerie virtuali nel web o i visori come Oculus?
Forse dipende dalla mostra, ancor più dal design dell’interfaccia utente, e una risposta può essere data solo in modo esperienziale. La sfida più ambiziosa in entrambi i metodi è creare un’esperienza collettiva che viene data in uno spazio fisico, nel caso della visita in gruppo di una mostra. Attualmente le visite online offrono possibilità più agevoli di scambio delle proprie esperienze tra i visitatori, ma appaiono frequentemente nuovi formati e soluzioni tecnologiche, quindi è difficile decidere.
Uno dei temi di Beyond Matter sono le ricostruzioni di mostre del passato. Uno degli esempi più interessanti in questo senso è l’opera Thresholds di Mat Collishaw. Quali mostre ci saranno qui?
Collishaw ha ricostruito meravigliosamente la prima grande mostra di fotografia al mondo, ma abbiamo intenzione di fare qualcosa di differente. Nel nostro impegno attuale, insieme al Centre Pompidou di Parigi e alla Aalto University, vorremmo creare modelli digitali di mostre che si sono svolte alla ZKM nel 2002 (Iconoclash) e al Centre Pompidou nel 1985 (Les Immatériaux). I modelli digitali su cui stiamo attualmente lavorando, con l’aiuto di professionisti di diversi ambiti, non ricostituiranno semplicemente i luoghi fisici di questi spettacoli precedenti, ma cercheranno di emulare l’essenza di questi concetti curatoriali che furono manifestati negli spazi fisici, mettendola in scena nel virtuale. Il processo è esperienziale in ogni caso, ma speriamo che durante tutto il processo vengano create buone pratiche che aiuteranno altre istituzioni a rendere accessibili le proprie mostre passate in modi simili.
Puoi raccontarmi qualcosa di più di Beyond Matter?
I modelli delle mostre Les Immatériaux e Iconoclash che ho citato saranno uno dei punti salienti. Fino alla loro presentazione verranno realizzate e pubblicate alcune altre pietre miliari del progetto. Abbiamo in programma di lanciare quest’anno i modelli online e di esporli successivamente alla Tallinn Art Hall, al Tirana Art Lab e in una sede a Helsinki, in collaborazione con la Aalto University. A Parigi al Centre Pompidou e a Karlsruhe, allo ZKM, i modelli saranno contestualizzati in mostre più grandi nel 2022/23. Attualmente stiamo preparando una mostra dal titolo Spatial Affairs, che curo insieme a Giulia Bini in collaborazione con il Ludwig Museum Budapest. Spatial Affairs studia il concetto della formazione della nozione di spazio nel secolo scorso e, grazie a opere d’arte e manifesti artistici, esplora i cambiamenti che la computazione ha causato nel ruolo e nella comprensione dello spazio dagli anni Trenta ad oggi. Insieme alla mostra verrà pubblicato un catalogo e ci sarà una mostra parallela online. La nozione di “spazio” e l’impatto del calcolo sulla sua comprensione è particolarmente importante da esaminare nel contesto del museo, il posto in cui ha luogo la mediazione artistica. Le conquiste della tecnologia dell’informazione trasfigurano i nostri musei. Il simposio HyMEx farà riferimento a questo tema e analizzerà la trasformazione in corso. Le due giornate della conferenza (6-7 maggio 2021) saranno trasmesse in streaming online. È importante ricordare anche il programma di residenza Beyond Matter della Tallinn Art Hall, del Tirana Art Lab e dello ZKM, in quanto coinvolgerà artisti che rifletteranno sulla nozione di “virtuale” e creeranno nuove opere, fisiche o digitali, online o materiali. Abbiamo in programma di concludere Beyond Matter nel 2023 con una pubblicazione che riassumerà e farà il punto su questo sforzo comune.
Lívia Nolasco-Rózsás, studiosa di media art e curatrice di mostre allestite nelle più importanti istituzioni di quest’ambito, ha avviato e sviluppato mostre tematiche, affrontando questioni questioni come la genealogia e l’impatto sociale del calcolo planetario e del codice del computer, la sorveglianza elettronica e la democrazia, le funzioni e i processi della scienza in relazione all’economia automatizzata, le visioni mediate degli ambienti costruiti e la percezione sinestetica correlata a integrazione dei gruppi minoritari nella mediazione dell’arte contemporanea. Per quanto la sua attività sia principalmente legata alla Kunsthalle Budapest e allo ZKM|Center for Art and Media Karlsruhe, ha curato mostre presso istituzioni come Chronus Art Center Shanghai, Arsenal Gallery Białystok, Badischer Kunstverein Karlsruhe, Energy Museum Vilnius, Kunsthalle Zilina, National Library of Latvia, Tallinn Art Hall, Trafó House of Contemporary Arts Budapest. I suoi recenti progetti curatoriali includono le mostre collettive: Open Codes (2017-19 at ZKM), Global Control and Censorship (2015, ZKM; 2017-18 travel through Eastern Europe), On the Edge of Perceptibility. Sound Art (2014, Kunsthalle Budapest) e le personali di Eli Cortiñas (ES / DE), Kerstin Ergenzinger (DE), Shilpa Gupta (IN), Žilvinas Kempinas (LT / US), Kurt Kren (AT / US), Dóra Maurer (HU), tra gli altri.