Francesco Sala: è l’ora dell’archeologia virtuale
Francesco Sala si è laureato nel 2017 in Scenografia indirizzo Cinema e Tv all’Accademia di Belle Arti di Brera, con una tesi sulla ricostruzione, mediante grafica digitale, di un ambiente medievale. Dopo aver collaborato per un anno con lo scenografo Ezio Frigerio e aver lavorato con un team di ricercatori dedicati allo studio di contesti di interesse archeologico, nel 2018 ha iniziato un dottorato di ricerca.
Sala si occupa di progetti che riguardano l’archeologia virtuale rivolta alla ricostruzione di ambienti e paesaggi storici principalmente di epoca medievale. Un percorso già iniziato con la sua tesi di laurea, per la quale ha analizzato un insediamento medievale tra l’Alessandrino ed il Tortonese, ancora oggetto di ricerca. Inoltre ha sviluppato ambientazioni 3D all’interno della mostra “Il Tesoro di Antichità”, dedicata alla figura di Johann Joachim Winckelmann e allestita all’interno delle sale dei Musei Capitolini di Roma. Sotto la gestione dell’Università di Bergamo sono in corso personali ricerche ricostruttive legate ad un contesto archeologico altomedievale nell’Alta Maremma, in Toscana, l’elaborazione di immagini ricostruttive sul Principato di Monaco in epoca medievale e lo sviluppo di un restauro virtuale e ricostruttivo di strutture medievali presenti nella Media Valtellina. Inoltre collabora come concept artist per videogiochi e spettacoli, realizzando illustrazioni e bozzetti.
L’archeologia virtuale è una disciplina relativamente recente?
E’ una disciplina piuttosto recente, anche se risponde a volontà di ricostruzione storico/archeologiche espresse già nell’Ottocento e perseguite per tutto il Novecento. E’ nei primi anni Novanta però che si è incominciato a sviluppare dei protocolli di gestione dati e a sviluppare una ricostruzione rigorosa sul piano scientifico attraverso l’utilizzo della computer grafica. L’avvento di nuove strumentazioni tecnologiche ridefinisce periodicamente alcuni assetti metodologici, rendendo la sperimentazione all’interno della disciplina una questione sempre attuale, non solo in ambito divulgativo e museale, ma anche interno alla ricerca archeologica stessa.
Attualmente sono molte le ricostruzioni digitali di siti archeologici?
C’è un certo numero di ricostruzioni archeologiche e modelli virtuali sviluppati dalla ricerca, con finalità sia divulgative che di studio. Ci sono anche modelli elaborati, sempre con intenti filologici, all’interno di rappresentazioni artistiche e prodotti di intrattenimento. Entrambi rappresentano tentativi di avvicinarsi ad una comunicazione efficace sia sul piano descrittivo, quello proprio della letteratura scientifica, che su quello evocativo determinato dall’utilizzo dell’immagine. Potrebbero esserci però più progetti rivolti alla ricostruzione virtuale di paesaggi storici, una maggiore attenzione al patrimonio culturale invisibile e più canali di comunicazione tra accademie di belle arti e università. Esistono Paesi più avanti nello studio di contesti storici medievali altri invece dove la ricerca si è espressa maggiormente a favore dell’archeologia classica. Sono interessi che si basano spesso sulla narrazione tradizionale delle origini di un’identità comune. Per quanto riguarda il discorso sulla valorizzazione dei beni culturali, è difficile non prendere esempio da paesi come la Francia e la Gran Bretagna storicamente coinvolti all’interno di un percorso di ricostruzione storica del paesaggio nazionale. L’interesse turistico ha però spinto molti Paesi ad avvalersi dell’archeologia virtuale per promuovere il proprio patrimonio e ricostruire così un immagine storica, spendibile al di fuori dei propri confini.
Al momento quali sono i progetti più importanti di archeologia virtuale?
Non sono in grado di individuare progetti più importanti di altri al momento, però sicuramente c’è un rinnovato interesse per il paesaggio storico, anche grazie alle ricostruzioni all’interno di scenari virtuali e concretamente costruiti presenti in alcuni videogiochi e serie tv. La tipologia di ricostruzione più complessa sul piano scientifico è sicuramente quella che viene sviluppata a partire dall’assenza di dati archeologici evidenti. La carenza di strutture verticali determina un grosso investimento in termini di tempo, nella consultazione di fonti alternative. E’ infatti essenziale consultare una diversificata rete di fonti al fine di ricavare la documentazione a sostegno dell’immagine ricostruttiva. Più si vuole descrivere un contesto storico, più risulta complicato fornire adeguatamente le informazioni dei dettagli, degli oggetti, sopratutto quando parliamo della storia antecedente al XVIII secolo.
Queste ricostruzioni in genere sono pensate perché possano essere fruite dal pubblico, o perlopiù dagli studiosi?
La direzione che viene seguita, all’interno di alcuni progetti che mi riguardano direttamente, è proprio rivolta a rendere le ricostruzioni virtuali di siti archeologici, fruibili non solo all’interno dell’ambito della ricerca. La divulgazione dei contenuti scientifici infatti, spesso sfrutta l’immagine evocativa per suscitare interesse verso un pubblico abituato a prodotti coinvolgenti. Studiosi di archeologia virtuale ribadiscono come però sia fondamentale evitare un’eccessiva spettacolarizzazione nella comunicazione dei dati. Invitano all’attenzione metodologica al fine di non imbattersi nella cosiddetta “sindrome di Star Wars”, ovvero di un immagine rivolta unicamente all’effetto evocativo, sottolineando la responsabilità di descrivere con rigore scientifico i contenuti. La ricerca che personalmente svolgo, pone il disegno ricostruttivo come un media efficace per il dialogo interdisciplinare sviluppato all’interno dello studio di un contesto di interesse archeologico. Quindi la ricostruzione che viene fatta durante il processo di interpretazione del dato svincola il disegno da essere un prodotto diretto ad uno scopo unicamente divulgativo. Ciò non toglie che la ricostruzione debba essere esteticamente interessante e apprezzabile da diversi punti di vista.
Con quali strumenti si potranno fruire queste ricostruzioni? Sul computer? Con il visore?
I modelli 3D ricavati dalla ricostruzione virtuale saranno adoperati sia per comporre scenari rivolti ad una fruizione attraverso visore e realtà aumentata sia per la cartellonistica museale. I modelli 3D inoltre rappresentano una base per produrre non solo elaborati per sviluppare percorsi interattivi, ma sopratutto per incrementare l’efficacia del discorso scritto all’interno dei manuali scolastici, pubblicazioni di carattere scientifico o guide turistiche. Il 3D stesso potrà essere un supporto per eventuali illustrazioni bidimensionali, oggetto di riprese, o stampato in 3D nelle sue componenti e assemblato in una composizione modellistica.
Si possono fare dei tour virtuali?
Software dedicati al rendering in realtime permettono di elaborare animazioni e percorsi interattivi dove il fruitore ha la possibilità non solo di assistere ad un tour virtuale ma anche di determinare parte della propria esperienza attraverso un alto livello di interattività. Gran parte dell’approccio sperimentato grazie al videogioco si riversa all’interno di esperienze museali in cui grazie ad applicazioni è possibile partecipare a mini-giochi ambientati proprio nelle sale visitate. Mi viene in mente, a tal riguardo, il percorso museale, associato ad un’esperienza videoludica all’interno del Palazzo dei Papi ad Avignone. In altri contesti, come avviene in una delle sale interno al Museo delle Terme di Diocleziano a Roma, l’attenzione è rivolta invece ad uno schermo che mostra un cortometraggio descrittivo dell’architettura visitata. Gli esempi sono davvero tanti, alcuni hanno una forte componente di sperimentazione, altri si sono consolidati come prodotti molto curati, mantenuti quindi stabili all’interno delle esposizioni.