Dario Buratti, architetto del multiverso
Quando entri in un mondo virtuale e vedi le sue architetture, le riconosci subito. I progetti di Dario Buratti, alias Colpo Wexler, sono futuribili, aerodinamici, eleganti, imponenti. Fanno venire subito in mente i grandi visionari dell’architettura del XX e del XXI secolo, pensi a Sant’Elia e a Zaha Hadid, ma vengono in mente anche le scenografie dei film di fantascienza più architettonici, come Syd Mead, per citarne uno. Dario Buratti è un progettista che pensa in grande, e i mondi virtuali gli permettono di non limitare i suoi orizzonti, spaziando dai grandi building a scenografici spazi espositivi. A differenza di un architetto che opera nel mondo reale, che ha a disposizione un fazzoletto di terra o se va bene un isolato, Buratti in genere non ha problemi di spazio: i suoi committenti gli mettono a disposizione intere isole nei territori incontaminati di Second Life o di Sansar, e lui utilizza i territori di pixel come un pittore sulla tela, lo schermo del computer è per lui un tecnigrafo infinito. Molti conoscono Dario Buratti come Colpo Wexler, che è il nome del suo avatar in Second Life, un nome preso in prestito dalla canzone Un colpo in un istante dei Delta V.
“Di solito dopo la creazione dell’involucro architettonico mi concentro sul lato scenografico, che poi è quello che ha più a che vedere con l’impatto emotivo, con la fascinazione, con l’immersività”.
La storia di Buratti come progettista all’interno dei mondi virtuali risale agli anni Novanta. Milanese, laureato all’Accademia di Brera in Scenografia, Buratti comincia a poter dar vita alla passione per l’architettura virtuale nel 1998, quando si cimenta con Active Worlds, uno dei primissimi esempi di mondi virtuali in 3D. E’ l’inizio di una prolifica attività di progettista, che ha modo di svilupparsi al meglio dal 2006, quando Buratti inizia a frequentare Second Life. Qui, nel giro di pochi mesi, crea ITLAND una delle regioni più note e frequentate dell’Italia virtuale. Qui fonda la Digital Cult_Ure art Gallery, che gestisce per quasi quattro anni, sovrintendendo a una serie di manifestazioni e mostre tra cui le personali dei fotografi Roberto Kusterle, Franca Giovanrosa, Alberto Moretti, Jacopo Querci. Poi, nel 2010 viene contattato per realizzare in Second Life il SOMA, San Francisco Museum of Art. Sempre in quel periodo fonda Digital Cult, un laboratorio di architettura con annesso showroom in cui vengono proposte le sue architetture visionarie. Da allora Buratti consolida la sua fama di progettista: crea negozi, centri commerciali, gallerie d’arte, luoghi di intrattenimento, intere regioni, sempre nei mondi virtuali. Ha lavorato per clienti privati di tutto il mondo: USA, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Giappone, Russia, Regno Unito, Francia, Italia, Germania, Svezia, Spagna, Portogallo, Brasile, Canada, Turchia, Messico, Croazia, Perù.
Nel 2016 Buratti ha il privilegio di essere ammesso con un accesso privato alla Creator Release di Sansar, il nuovo mondo virtuale di Linden Lab, dove progetta il primo hub di eventi. Si tratta di una galleria d’arte virtuale. 20.000 metri quadrati accessibile con visori VR. All’inizio del 2017 Buratti ha creato, il brand VR CULT e ha organizzato il primo evento Full VR in Sansar, una mostra dell’artista Francesco Musante (in collaborazione con Marina Bellini) e del fotografo Matteo Guariso. Tra il 2018 e il 2020 si è dedicato alla realizzazione di progetti personalizzati per Second Life, Sansar e Sinespace. In parallelo ha iniziato a realizzare un nuovo progetto dedicato all’arte e al design, una Art factory completamente costruita su Sansar nata anche con la collaborazione di Gianluigi Perrone, Stefano Lazzari aka Stex Auer e Marina Bellini aka Mexi Lane. Il progetto, che inizialmente si chiamava DOGMA VR Factory, e che successivamente è stato modificato in VR4Art, ha la missione di essere un punto di incontro e luogo di eventi culturali e artistici di alto livello fruibili con visori VR. Nel luglio 2020 la Factory ha ospitato la mostra personale di Saturno Buttò. Virtual Vernissage ha chiesto a Dario Buratti di raccontare la sua esperienza di progettista e di dare la propria opinione sul tema delle gallerie virtuali.
Ultimamente si parla molto di gallerie virtuali. Nella tua esperienza, come hai visto cambiare questo tipo di spazi espositivi nel web?
La mia esperienza nell’ambito delle gallerie virtuali si è formata all’interno di contesti social VR come Second Life, Sansar, Sinespace. All’interno di queste realtà, le gallerie virtuali hanno avuto un trend di sviluppo omogeneo al progresso sociale, economico e creativo che ha caratterizzato nel corso del tempo ognuna di loro. In modo specifico, le attività si sono evolute passando da una fase empirica e dilettantesca a forme più professionali e avanzate anche dal punto di vista estetico. Lo studio degli spazi, della luce del suono, la qualità degli espositori, dei temi, la selezione delle opere ed in generale il livello artistico è aumentato notevolmente.
Le gallerie virtuali rappresentano anche un’evoluzione verso il web 3D?
Le Gallerie virtuali costituiscono in generale un nuovo mezzo per rappresentare l’arte, uno strumento in più con grandi potenzialità e ampi margini di sviluppo non solo creativo ma anche economico.
Per le gallerie virtuali sono più adatti i motori grafici per spazi espositivi da visitare da soli o i mondi virtuali in cui c’è condivisione?
Essendo io un creator che opera su piattaforme social VR per mia concezione filosofica non comprendo cosa posso significare una soluzione “monoutente” dal momento che la galleria d’arte, a mio modo di vedere, diventa tale nel momento stesso in cui è inserita in un contesto “collettivo”. L’esperienza virtuale è strettamente legata al concetto di identità digitale ed immersività, senza queste due componenti l’esistenza di uno spazio si riduce a qualcosa di decontestualizzato e fine a se stesso. Senza avatar. senza consapevolezza di un “io digitale” che agisce nello spazio di un evento, non può esistere quel rapporto emotivo che conduce al raggiungimento del giusto livello immersivo. L’interazione con la realtà virtuale è di fatto la sperimentazione di nuovi e più profondi stati emozionali. Una componente essenziale senza la quale non avrebbe senso parlare di realtà virtuale.
Quali sono i pro e i contro delle gallerie virtuali?
I pro sono indubbiamente le grandi potenzialità creative, di customizzazione e di fatto anche economiche che questi tipi di spazi permettono. I contro non credo siano legati alle gallerie virtuali in sé più che altro, se devo vedere un “contro”, lo vedo nel fatto che ci sia gente usa chiamare “gallerie virtuali” cose che non hanno nulla a che vedere né con il virtuale né con i concetti di immersività ed identità digitale che citavo prima. Questo crea confusione.
Come vedi la galleria virtuale ideale? E il museo virtuale?
La galleria virtuale ideale è di fatto uno spazio in cui si sperimentano avvenimenti artistici e gli eventi necessitano di “partecipazione e interazione sociale” di conseguenza la galleria d’arte ideale è quella che consenta di customizzare lo spazio scenografico in modo esclusivo e che abbia la possibilità di poter essere gestita da uno staff di operatori esperti in “eventi virtuali”. Operatori con avatar dedicati alla performance del “vernissage” che interpretino un ruolo specifico nella messa in scena dell’evento o degli eventi. Per quanto concerne i musei virtuali, se si tratta di luoghi in cui vengono esposte repliche di opere già esposte in musei reali non provo molto interesse verso questo tipo di realtà perché non ne trovo il senso.
Quanto è cambiata la user experience nei mondi virtuali e nel virtuale in generale da dieci anni a questa parte e quanto cambierà nel giro di cinque anni?
Negli ultimi dieci anni la user experience si è arricchita generando nuove visioni e una nuova auto-consapevolezza che prima mancava. Dieci anni fa c’era gente che pensava di poter usare i metaversi per fare cose per cui non erano mai stati preposti, tutte quelle realtà sono sparite lasciando spazio ad attività più specifiche ed adatte a questi ambienti. In questo senso sono nati e si sono sviluppati brand nativi e realtà che hanno avuto un grande sviluppo specialmente nell’ambito della moda, della musica, della creatività, degli eventi e dell’arte. Nel giro di cinque anni tutto cambierà, secondo il mio punto di vista, in linea con gli orientamenti del settore della realtà virtuale, sia sul fronte della diffusione dei device (visori VR che diventeranno sempre più compatti ed economici fino a diventare di uso comune o quasi) sia sulla diffusione di software che permetteranno lo sviluppo di identità digitali e di contesti sociali in cui interagire. In questo senso lo spazio virtuale e quello reale potrebbero diventare interdipendenti senza linee di demarcazione così nette, di conseguenza gallerie virtuali e reali potrebbero essere semplicemente interconnesse ed utilizzate per eventi artistici contemporanei ed ibridi in mixed reality.
Le tue architetture sono molto originali dal punto di vista estetico. Ti capita di prevedere anche accorgimenti tecnici per rendere l’esperienza della visita ancora più accattivante?
Assolutamente sì. Quella è una fase essenziale del mio lavoro. Di solito dopo la creazione dell’involucro architettonico mi concentro sul lato scenografico, che poi è quello che ha più a che vedere con l’impatto emotivo, con la fascinazione, con l’immersività. La posizione del sole, la luce, gli spazi bui, le situazioni sonore, la posizione degli oggetti, l’orientamento dei piani, tutto concorre a stimolare il “sentire”. Ovviamente, per quanto concerne le gallerie virtuali, questo modus operandi viene applicato alla realizzazione di ogni mostra. Per questo in uno dei punti precedenti avevo parlato di “possibilità di customizzazione”. Lo spazio della galleria deve essere di per sé uno spazio semi-vuoto che, come un palcoscenico, viene vestito di volta in volta di scenografie differenti. Sarebbe impensabile avere questa possibilità e non sfruttarla e limitarsi ad avere una scena fissa in cui inserire opere diverse di volta in volta.
Tra i tanti modelli di gallerie virtuali (tour virtuali a 360°, gallerie crossmediali, ecc.) quale ti sembra più efficace?
Come dicevo prima, non considero i tour a 360 gradi delle esperienze virtuali né tutto ciò che differisce dai concetti che ho già espresso. Premesso che questa è solo la mia opinione ovviamente non pretendo che costituisca una verità assoluta.
Il futuro delle gallerie virtuali saranno le gallerie low cost fai da te o quelle con la grafica dei videogame di ultima generazione?
Dipende, tutto può succedere, sicuramente il fai da te e il dilettantesco a meno che non accompagnati da un guizzo di genio o di competenza non funzionano mai da nessuna parte. Preferisco dire in modo molto ovvio che la gente di solito predilige la qualità, l’unicità, il bello, l’emozionante e per questo è disposta anche a partecipare. Continuo a sottolineare che qualunque sistema di intrattenimento non funziona senza interazione umana, e nell’ambito della realtà virtuale intrattenimento significa “partecipazione”, non è certo un ambiente per meri spettatori.