Anna Calise, musei a misura di rivoluzione digitale

 In personaggi

Nata a Napoli nel 1991, Anna Calise si è laureata in Filosofia al King’s College di Londra, quindi in Management delle arti alla SDA Bocconi. Tornata a Napoli, ha collaborato con la Soprintendenza di Pompei, con il Museo Archeologico Nazionale e con la Fondazione FoQus, onlus che si dedica alla rigenerazione urbana nei Quartieri Spagnoli di Napoli. Contemporaneamente ha conseguito la laurea magistrale in Management del Patrimonio culturale all’Università degli Studi di Napoli Federico II. Nel 2018 collabora con Google Arts and Culture, per costruire il profilo digitale dedicato alla promozione dell’arte della città di Napoli. Inoltre ha partecipato al progetto Build Up della Fondazione Matera Basilicata 2019.

Nell’ambito di un dottorato di ricerca alla IULM sta lavorando a una proposta di digitalizzazione dei servizi educativi del sistema museale italiano. Di cosa si tratta?

Ho iniziato quest’anno una ricerca nell’ambito della digitalizzazione dei sistemi educativi nel panorama museale. Ritengo che i musei, se vogliono continuare a trasmettere la cultura ai cittadini, debbano per forza offrire dei servizi che tengano conto di come la rivoluzione digitale abbia definitivamente cambiato i nostri sistemi di apprendimento. La mia ricerca prevede di mappare le iniziative più interessanti a livello internazionale e metterle a confronto con il panorama teorico della cultura visuale – con un focus legato all’ambito dei sistemi cognitivi. In ultimo l’obiettivo è di mettere a sistema queste conoscenze per provare a strutturare una proposta che consenta di implementare un programma di digitalizzazione tarato per il sistema museale italiano.

I musei virtuali sono un tema di grande attualità. Attualmente il modello prevalente sembrano essere i tour a 360 gradi. Nei prossimi anni prevarrà ancora questo modello o ci sarà qualcosa di diverso?

I tour a 360 gradi sono un servizio molto diffuso nel panorama museale, che rischia però di essere spesso statico. La qualità delle riprese non è garantita, e non sempre sono corredati da informazioni e materiali integrativi, il che li rende poco informativi. Credo che il futuro dei tour virtuali sia destinato ad ospitare elementi di interattività ed aspetti più immersivi, almeno lo ritengo necessario perché questo strumento mantenga la sua centralità.

Cosa si può fare per creare una maggiore integrazione tra le visite ai musei del mondo vero e quelli virtuali?

Un aspetto fondamentale per offrire servizi digitali integrati con l’offerta fisica del museo è il coinvolgimento del personale museale, che ha le competenze tecniche per ideare programmi ed attività funzionali alla comunicazione del proprio patrimonio. Perché questo sia possibile, però, è fondamentale dotare i musei di figure professionali trasversali, che siano preparate in materie come la programmazione informatica, la comunicazione digitale, la pedagogia. Solo team multidisciplinari e completi possono essere in grado di ideare proposte blended, che mettano insieme l’offerta fisica con quella digitale.

Una pagina del sito interattivo The Museum of the World del British Museum © Trustees of the British Museum.

Quali sono le mostre e i musei virtuali più interessanti del momento?

Una delle pagine che preferisco è The Museum of the World del British Museum, che consente al visitatore di viaggiare nel tempo e nello spazio soffermandosi sulle varie opere d’arte. È uno strumento semplice ma implementato con grande efficacia, e che ben rispecchia l’identità dell’istituzione che ha alle spalle. Un’altra pagina interessante è il profilo su Twitch del Monterey Bay Aquarium, nel quale sono caricati i video dei live streaming del personale del museo che, giocando al gioco Nintendo Animal Crossing, commenta l’esperienza condividendo contenuti sul mondo naturale, ospitando anche professionisti di altre istituzioni culturali. Un esempio di come istituzioni culturali possano intercettare nuovi pubblici e realizzare nuove narrative presenziando luoghi digitali inaspettati.

Un visitatore del Monterey Bay Aquarium consulta il sito dell’acquario stesso nel corso del tour. foto Jessica Keener ©Monterey Bay Aquarium

Chi visita una mostra dal vivo, poi sente il desiderio o la necessità di rivederla anche in versione virtuale?

Ritengo che indipendentemente dai desideri individuali di ritornare o meno su dei contenuti scoperti – che sono in ogni caso un’opzione plausibile – l’obiettivo sia sfruttare gli strumenti digitali per offrire servizi nuovi, stimolare desideri differenti nei fruitori. Soprattutto sotto il profilo educativo lo spazio virtuale, con la sua modalità asincrona, offre un’infinita gamma di opportunità di apprendimento, se sfruttato a pieno. Invece di porci in un’ottica di confronto bisogna perseguire l’idea di un parallelismo delle due esperienze di fruizione, che viaggiano su canali sicuramente in dialogo, ma differenti.

Fino a qualche anno fa, il virtuale era un complemento delle mostre in presenza. A volte c’erano postazioni all’interno del museo per arricchire l’esperienza. Oggi le versioni virtuali sono proposte soprattutto per visite alternative da casa. Funzionano?

L’offerta digitale può funzionare o essere un’alternativa sterile, dipende tutto da come viene impostata. Credo sia importante pensare al digitale anche come uno strumento di integrazione alla visita fisica, i device digitali sono strumenti utilizzati quotidianamente nel nostro panorama esperienziale ed è normale che facciano parte anche delle visite dal vivo nei luoghi della cultura. Quando invece il digitale viene inteso come alternativa – per offrire contenuti ad esempio a tutto un pubblico che non può consentirsi una visita in presenza – può rappresentare una fonte ricchissima ed inesauribile. I musei oggi devono porsi il problema di come realizzare la loro missione anche digitalmente, bisogna necessariamente inventarsi cose che “funzionano”.

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