Suzanne Beer, un libro per capire i musei virtuali
Di questi tempi, in cui si cerca quasi quotidianamente di mettere a fuoco l’idea esatta di museo e di galleria virtuale, è utilissimo poter disporre di strumenti teorici che aiutino a fissare queste nozioni. Uno strumento di riferimento imprescindibile è il libro Musées virtuels & réalités muséales (L’Harmattan), appena pubblicato da Suzanne Beer, che ha sviscerato in modo approfondito e completo questa materia, affrontandola da una serie di prospettive. A Suzanne Beer, professore associato di filosofia e dottore in estetica, scienza e tecnologia, abbiamo chiesto di definire alcuni punti fondamentali trattati nel suo libro.
Quando cita i musei virtuali, nel suo libro parla di sostituti, che è diverso da complementi. I musei virtuali sono esclusivamente complementari ai musei nel mondo fisico o possono rivendicare una propria identità specifica?
La categoria del sostituto permette di comprendere tutta la gamma dei musei virtuali che si allontanano dal loro modello fisico e da qualsiasi modello preesistente. Essere il sostituto significa assumere una funzione, non riprodurre apparenze sensibili. Questo è precisamente il punto che metto in evidenza nel mio libro: i musei virtuali possono appropriarsi completamente della funzione museale, possono creare spazi per apprezzare le opere grazie ai nuovi strumenti forniti dai media digitali. Si tratta di mezzi espressivi particolari le cui possibilità sono esplorate da diversi tipi di produzioni artistiche come i videogiochi e gli effetti visivi al cinema.
“I musei hanno un campo di creazione che richiede di riconsiderare i modi di esporre, perché questi spazi offrono nuove potenzialità sensoriali, motorie e cognitive differenti da quelle degli spazi fisici”.
Quando si parla di musei virtuali, sembra che ci si debba riferire solo al digitale, ma in realtà, come dice nel suo libro, ci sono molti esempi di musei virtuali in senso lato.
In effetti, si utilizza il termine “virtuale” per riferirsi ai musei realizzati con i media digitali. Questo termine ha una lunga storia, si sono versati fiumi d’inchiostro. In particolare, l’espressione “museo virtuale” è stata usata in museologia dalla Scuola di Brno, poi da Bernard Deloche, che ha scritto il suo libro Le musée virtuel nel 2000, proprio per mostrare il significato che questo sintagma assume al di fuori del mondo delle nuove tecnologie dell’informatica e della comunicazione. È importante specificare il significato di un vocabolario mutuato da un campo tecnologico, tracciandone la specificità in relazione a una sfera di senso globale.
I musei virtuali digitali sono definiti esclusivamente dal loro valore documentario o possono anche essere caratterizzati da una particolare estetica e da una specifica modalità di fruizione?
Il valore documentario dei musei virtuali è proprio il problema di questo tipo di museo, perché esiste soltanto in un medium riproduttivo e duplicativo. Ora, il museo dovrebbe essere un luogo di incontro per opere autentiche, non uno spazio documentario. E’ un grosso problema per lo status museale dei musei virtuali. Tale status di musei virtuali è stato concepito da specialisti dell’informazione e della comunicazione, per definire la natura reale di questo tipo di musei differenziandoli dal loro genere comune, i musei del mondo fisico e tangibile.
I tour virtuali noti come tour online, quelli con fotografie a 360 ° coprono tutta la complessità di un’esperienza di visita a un museo virtuale?
I tour virtuali rimangono nel rapporto di complementarità con il museo che descrivono. In questo senso, non creano una musealizzazione originale. Tuttavia, alcune modalità di produzione di queste visite mostrano chiaramente la specificità del linguaggio da utilizzare nei media digitali, la creatività lasciata all’interpretazione del museo originale.
I videogiochi, in particolare i serious games, possono essere la nuova frontiera del museo virtuale?
In effetti, i videogiochi forniscono una molteplicità di modalità di interattività che sono tanto sensoriali e motorie quanto cognitive e ludiche. Alcuni musei virtuali si sono sviluppati nella direzione dei “giochi seri”. Ma in effetti, formano una frontiera, da diverse angolazioni. Diciamo, in primo luogo, che l’estetica dei videogiochi realistici, affini al modello cinematografico hollywoodiano, apre un quadro di riferimento che non conviene ai musei. Questi ultimi vogliono mantenere la propria posizione di contropotere, per non cadere nella categoria dei mass media. È lo stesso con il modello Disney e la nozione di ludicità in generale. Un museo inoltre non vuole essere confuso con un mezzo di intrattenimento, anche di tipo “culturale”, come i parchi a tema. L’idea di museo vuole perpetuarsi con altre tendenze, e questa è, in generale, una delle sfide in questo campo.
Sembra che un museo virtuale sia spesso una variante del web. In effetti spesso viene relegato alla forma del catalogo o dell’enciclopedia, spogliato di ogni spessore.
Questo è un altro problema del termine “musei virtuali” che può includere pagine web che presentano alcune riproduzioni su un determinato tema accompagnate da un testo esplicativo di lunghezza e qualità variabili. Inoltre, il rapporto tra il museo e il catalogo qui è privo del contributo dei curatori. Una museologia analitica di tipo cronologico è come un catalogo esposto negli spazi espositivi di un museo. Sulle pagine web la terza dimensione è scomparsa, rimangono solo la pianta e l’atto dello sogliare il catalogo.
Per i musei virtuali pensa sia più adatta un’idea di gamification legata alla struttura dei musei reali o sia meglio pensare a musei progettati come i videogiochi di ultima generazione?
Per i videogiochi di ultima generazione ci sono dei budget che non esistono per i musei. Bisognerebbe togliere una serie di zeri alla fine. E’ impossibile pensare a un simile sviluppo, e comunque non è detto che sia una buona idea, dal momento che la ludicizzazione di un museo sarà comunque qualcosa di diverso. Con riferimento alla prima parte della domanda, ci sono già giochi museali che si svolgono in musei reali con processi tecnologici impressionanti. La gamification può essere in sintonia con la volontà dei curatori, essere del tipo dei “serious games”, ma può trovare anche altre formule, giocando con l’idea di creatività, di scoperta, non della ricerca di un unico obiettivo agonistico che porti a vincere.
Si dice museo virtuale e si pensa a uno spazio 3D. Ma nel suo libro lei dice giustamente che si possono creare musei con Instagram o Pinterest. Quindi bisogna definire bene cosa si intenda per museo virtuale.
Ho voluto esplorare tutto quello che è stato chiamato ed è ancora oggi chiamato “museo virtuale”. Ho notato che il museo virtuale non è un concetto, in quanto non ha una definizione precisa. Potrebbe essere una nozione perché lo si potrebbe vedere come un dominio, ma anche in questo caso i suoi confini rimangono vaghi. Molte produzioni rivendicano lo status di “museo virtuale” per molte ragioni diverse. Negli anni Novanta c’è stato il boom del termine virtuale. L’immagine del museo è caratterizzata da un’aria seriosa. Allo stesso tempo, anche l’idea di museo è estremamente vasta, abbraccia tutto il campo della memoria e della visualizzazione di sè, di ciò che si vuole presentare come identità. Il risultato è tanto vario quanto le risposte a questi tipi di approcci. Per rispondere alla domanda, se per virtuale intendiamo tutto ciò che si trova su un computer e su internet, allora qualsiasi immagine su uno schermo è virtuale. Che si tratti di 2D o 3D, pseudo 3D, VR, AR, XR…. poco importa. Un “museo virtuale” non deve essere per forza in 3D. Qualsiasi formato di immagine digitale è valido.
Nel suo libro si parla di musei virtuali amatoriali. Col tempo si conferirà loro uno status più elevato?
I musei amatoriali virtuali abbondano su internet. Questa creatività a volte porta a un risultato simile a quello dei musei tradizionali. Spesso non è così, perché perlopiù i creatori sono interessati a descrivere i propri gusti e a condividerli attraverso la diffusione di massa di internet. È allora che i professionisti dei musei se ne interessano, non tanto per riconoscere a quei modelli uno status di museo, quanto per incorporare la creatività del loro pubblico nel loro approccio museale. Si tratta di una nuova forma di dialogo tra produzione e pubblico, o meglio di una rinnovata forma di dialogo, perché Jenkins ha chiaramente dimostrato che le produzioni artistiche non agiscono sui puri ricettori. Con i musei è diverso rispetto alla produzione di fandom per film e serie cult. Il pubblico è diverso e sta per essere riscoperto. Tanto più che lo sviluppo dell’XR sta portando nuovi partecipanti extra-museali molto attivi, drenando possibilità davvero fruttuose per i musei come per il mondo artistico.
L’architettura in senso informatico può essere rappresentata dall’architettura in senso stretto nei musei virtuali?
No, l’architettura in senso stretto, artistico, in un mondo virtuale è grafica, visiva, ergonomica (anche se “liquida”). L’architettura informatica è l’organizzazione delle diverse parti di un sito, di una piattaforma, il modo in cui sono collegate le sue parti, le sue funzioni. Ho usato questa idea di architettura che ritorna alla nozione teorica di architettura come disposizione generale, nel senso di “disegno”, in italiano, il “dessein” in francese, con le sue connotazioni divine per la creazione del mondo, o di “archè” in greco, il principio, come per l’arte architettonica nel senso di Aristotele: l’arte al principio di tutte le produzioni. Da qui deriva il significato di arte architettonica in quanto parte delle “belle arti”. Nel mio libro mi sono soffermata su questa idea di architettura informatica in cui la piattaforma virtuale è destinata a orchestrare la vita del museo tangibile. È un po’ un’associazione di idee, una specie di gioco di parole. È un capovolgimento totale se lo vediamo nel senso che la disposizione virtuale dirigerà la parte sensibile, mentre per i curatori sono ovviamente le opere reali e la loro esposizione in un edificio reale con architettura fisica a dover dominare. Allo stesso tempo notiamo che non c’è un’esclusività del mondo virtuale. Secondo quest’ordine di idee, gli spazi virtuali e fisici sono correlati e complementari. La fisicità è un momento essenziale di questa concezione architettonica, anche se la regia parte dalla parte virtuale.