Biancamaria Mori: per le gallerie virtuali ci vuole un salto di qualità
Quali caratteristiche deve avere una galleria virtuale particolarmente performante, che non si limiti ad essere una replica più o meno ben fatta del suo omologo del mondo fisico? L’abbiamo chiesto a Biancamaria Mori, multimedia and interactive designer & developer. Con una solida formazione maturata prima all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove si è laureata in Nuove tecnologie per l’arte, e poi nell’ambito del design multimediale, Biancamaria Mori spazia dalla 3D Art alla Gamification e in tal modo ha una visione ampia delle prospettive per i nuovi centri espositivi virtuali del domani. La prima domanda che le abbiamo posto riguarda lo stato dell’arte di gallerie e musei virtuali.
“Oggi vanno per la maggiore i virtual tour con foto a 360° o mostre di piccolo taglio in spazi minimalisti composti solo da pareti bianche. Credo che questo sia dovuto al digital gap che caratterizza l’Italia da decenni e a cui questa chiusura forzata ci ha messo ferocemente davanti: sia le nostre aziende, che i musei, che gli utenti stessi, hanno dovuto correre ai ripari per non rimanere fossilizzati, ma non è sicuramente stato facile. Il modo più veloce di adeguarsi era attraverso mezzi ben collaudati (i tour virtuali sono una tecnologia che ci accompagna fin dagli anni Novanta…) ma per lo più sconosciuti, sicuramente di più facile e veloce realizzazione rispetto ad un ambiente iperrealistico immersivo 3D, ma anche con moltissime limitazioni, portando a una diffusione di contenuti difficilmente distinguibili tra loro. Questo è dovuto anche e forse soprattutto ad una mancanza di conoscenza profonda delle tecnologie e delle loro potenzialità”.
C’è molta richiesta di gallerie virtuali?
Molta. Abbiamo realizzato delle progettazioni che ancora non hanno visto la luce per diverse realtà sul territorio italiano. Quel che manca alla cultura, specialmente di questi tempi, non è sicuramente la volontà di mettersi in gioco. Purtroppo, soprattutto per i musei di piccole dimensioni (che spesso sono anche quelli con le collezioni più particolari e curiose, con un fortissimo legame col territorio), il problema è trovare i fondi necessari alla realizzazione di nuove attività. La buona notizia ci viene però dagli utenti culturali, da chi della cultura usufruisce: durante il lockdown abbiamo fatto una ricerca di mercato e quello che si evidenzia è che le persone (davvero di tutte le età) sarebbero disposte a pagare un biglietto per usufruire di servizi virtuali o online. Per quanto gli aiuti e le sovvenzioni per la sopravvivenza delle realtà culturali siano necessarie, I dati dimostrano che questo tipo di visite potrebbe diventare un servizio che si autofinanzia grazie ad un pubblico raggiungibile in tutto il mondo.
Nell’ambito delle architetture digitali i videogame fanno scuola. Si può imparare dai videogiochi?
Per anni i videogiochi (lo stato dell’arte della tecnologia interattiva) sono spesso stati stigmatizzati dalla stampa, quando invece questa tecnologia ha potenzialità incredibili applicate nell’educazione, nelle imprese, nel cinema e persino nella medicina. I quarantenni di oggi hanno visto la tecnologia dei computer e del www crescere con loro, sono i papà (e le mamme: il pubblico dell’interattività si è aperto moltissimo al pubblico femminile) con le console. I Millennial e la GenZ sono abituati a essere protagonisti delle tecnologie che utilizzano: sono 2,7 miliardi i videogiocatori nel mondo, ossia persone che sanno muoversi in ambienti virtuali senza difficoltà e che si aspettano che quel mondo reagisca ai loro input. Ancora di più, solo nel 2020 e solo sulla piattaforma Steam sono saliti di quasi un milione gli utenti con a disposizione nelle proprie case un visore VR, raggiungendo i 2,7 milioni di utenti di contenuti VR. I dati evidenziano una richiesta esplicita di contenuti interattivi da parte degli utenti, purtroppo la risposta in Italia è ancora scarsa, facendo affidamento su “gallerie virtuali” che spesso sono soltanto slide di fotografie di quadri, come mi è capitato, purtroppo, di osservare. E’ quindi necessario a mio avviso un salto di qualità, lo sforzo e il coraggio (come stiamo riscontrando sempre più spesso, fortunatamente) da parte delle istituzioni, delle gallerie e degli artisti nel lanciarsi in progetti innovativi che parlino ad un pubblico dimostratosi pronto ad ascoltare.
Che tipo di estetica e quale stile conviene scegliere?
Facciamo correre la fantasia! La sfida delle nuove tecnologie è proprio questa: non dobbiamo scimmiottare con la realtà virtuale l’esperienza della visita ad una mostra dal vivo. Il mezzo non lo permette. Per spiegarlo, uso sempre l’esempio dell’adattamento da un libro ad un film: se pensiamo di riadattare il libro, che è un medium passivo pensato per essere goduto in solitudine, con una longevità del contenuto lunga e spesso da elaborare frammentariamente, al cinema, che invece per sua natura ha tempi molto più brevi e dinamici, non possiamo tradurre tutte le descrizioni di un paesaggio in inquadrature, o perderemo l’attenzione dell’utente.
L’arte del riadattamento mediale si basa sulla profonda conoscenza dei medium e sulla capacità di tradurre il contenuto in una nuova lingua adatta alla fruizione godibile da parte dell’utente. Così è per la visita al museo. Se tentare di riprodurre fedelmente la visita al museo può essere frustrante per l’utente, possiamo però giocare con gli ambienti, crearne di fantastici o ristrutturare quelli presenti, allargarli e “contaminarli” con la fantasia mischiando reale ad immaginario. Esporre le opere confinate in un magazzino per poca disponibilità degli spazi fisici, far prendere vita ai quadri e alle statue, visitare luoghi che non esistono più o far scoprire la storia di questi attraverso interazioni che la visita fisica non permetterebbe.
C’è un divario tra il mondo del videogame e quello di chi usa spazi virtuali per mostre e altri eventi?
Sì e no. Se parliamo della mera tecnica, no. Gli ambienti di sviluppo, almeno quelli che utilizziamo noi sono gli stessi, le competenze altrettanto. Poi ovviamente tutto è relativo, vedo una grossa differenza sia di scopo che di competenze nel creare una mostra virtuale ed un videogioco picchiaduro o arcade. Probabilmente meno tra una mostra interattiva ed un videogioco come Journey.
E’ pensabile creare una galleria virtuale con un’estetica da videogioco di ultima generazione?
Certo. Dipende ovviamente tutto dal budget e dai tempi del progetto, ma se andiamo a guardare le mostre che abbiamo realizzato, quel tipo di environment e quel tipo di interazione è raggiungibile dal nostro team in meno di un mese. Più tempo si ha, più si riesce a scendere nel dettaglio dell’ambientazione e nella varietà dell’interazione.
Ha ideato parecchie gallerie virtuali?
Ho progettato molti spazi virtuali interattivi per vari scopi, dalla pre-visualizzazione architettonica, all’educazione nelle scuole, alla sperimentazione artistica degli spazi fantastici. Nel campo della cultura spesso però la “visita virtuale” non era considerata. Malgrado le tecnologie interattive abbiano trovato già da qualche anno spazio all’interno dei musei, solo con il Covid-19 si è sentita una vera esigenza di creare spazi virtuali esplorabili come gallerie e mostre. I musei, prima di questa chiusura forzata, puntavano su tipologie diverse di prodotti e di engagement preferendo installazioni interattive all’interno del museo, come mi è capitato in passato di realizzare, grazie a sistemi di rilevamento del movimento, videomapping, realtà aumentata e serious game che avessero più scopo didattico e di coinvolgimento che l’effettiva esplorazione di spazi. Con l’arrivo del Covid e l’impossibilità di raggiungere le opere ed i luoghi di cultura, ciò che prima era per me solo sperimentazione artistica ed esperimento di ricerca è diventata un’esigenza vera e sentita da parte dei musei. Dall’inizio della pandemia io e il mio team in API, l’azienda per cui sto lavorando, abbiamo realizzato EVA (Exhibit Virtual Art), una piattaforma che permette la realizzazione di spazi interattivi ad hoc, iperrealistici o fantastici, pronti ad ospitare le opere delle galleria, sia per mostre temporanee che permanenti. EVA ha visto la luce grazie alla collaborazione con Neoludica, realtà italiana di Debora Ferrari e Luca Traini, che dal 2012 curano la nostra arte nella corrente della Game Art e che danno valore alla parte curatoriale del progetto.
Quali mostre avete realizzato?
In questi due mesi abbiamo realizzato due mostre di Game Art, una per Rome videogame Lab, ispirata ad Asimov e Fellini, e una per la Milan Games Week. Nella prima abbiamo scelto di ricreare ambienti fantastici ispirati dalle opere dei due autori creando anche un intervento artistico che diventa opera interattiva: una stanza apparentemente inaccessibile, il cui contenuto poteva essere visto solo da delle finestre specifiche. All’interno si può osservare una Luna, che se guardata dalle stanze di Fellini è la Luna come la conosciamo, simbolo del sogno, della nostalgia, della poesia e della ricerca profonda dell’io umano, tutti temi cari al grande regista. Il lato opposto, quello nascosto, può essere osservato dalle stanze di Asimov, scoprendo una Luna futura ed abitata, piena di luci di una metropoli viva e veloce. Quel lato sconosciuto della Luna si scopre solo grazie alla corsa verso lo Spazio, a quella tensione verso un domani che ci spinge a creare mondi possibili in luoghi lontani e in tempi futuri, che ha caratterizzato l’opera di Asimov. Il resto dell’ambiente si compone di richiami alla poetica dei due protagonisti. Stanze infinite senza gravità dove il tempo non esiste; una spiaggia in una sala, dove le pareti sono cielo e mare, una sola poltrona da cui ammirare l’infinito; un cinema vuoto illuminato solo da una vecchia pellicola, una sala futuristica dedicata ad Assassin’s Creed, ed infine una sala nascosta accessibile solo dopo aver visto un determinato numero di opere: la nostra Luna si trasforma e diventa il monolite di 2001: Odissea nello Spazio, simbolo dell’ignoto, che ci teletrasporta nella stanza segreta.
E per quanto riguarda la mostra per la Milan Games Week?
Abbiamo realizzato una mostra legata al Giappone, ai videogiochi e ai manga. Anche in questo caso le stanze sono irreali, ispirate alla cultura pop, cyberpunk, nipponica ed hi-tech: Le onomatopee dei cartoni animati diventano lampade d’arredamento, una stanza optical prende spunto dalla corrente kitsch con i pezzi del gioco Tetris che diventano divanetti. Una sala interamente dedicata di nuovo ad Assassin’s Creed accoglie le opere degli artisti su muri completamente coperti da circuiti oro e nero. Al centro della sala troneggia un luminoso DNA fluttuante, simbolo della famosissima saga che ha mischiato tecnologia, arte e storia. L’attenzione che Assassin’s Creed ha rivolto all’arte viene rappresentata da statue antiche che ci osservano dai muri della sala. I volti coperti da maschere dorate, rimandano alla setta degli Assassini, protagonista del videogioco. In arrivo prima di Natale, una nuova mostra virtuale dedicata al Centro dell’Incisione di Milano, realtà meneghina storica che ha sede sull’Alzaia del Naviglio Grande. In questo caso, grazie anche allo splendido contesto storico che ospita il Centro, abbiamo deciso di ricreare virtualmente lo spazio cosi come si presenta, arricchendolo solo di qualche metro quadrato in più per dare spazio alle opere. Sarà quindi visitabile da qualsiasi parte del mondo un antico palazzo d’epoca milanese che ospita una mostra di incisione il cui tema è la bicicletta. Quello che cerchiamo di fare è il creare un percorso, un’ambientazione virtuale che abbia un senso e che si integri perfettamente con le opere, con la loro storia e con la storia degli autori, facendo diventare la stessa galleria virtuale un’opera d’arte.