A che punto siamo con l’estetica delle gallerie virtuali? Gli spazi che puntano a sostituire -almeno temporaneamente- quelli veri sono abbastanza attraenti? E’ una delle grandi domande che si pone chi opera in quest’ambito. L’opinione diffusa è che questi spazi sono funzionali ma spesso troppo semplici, troppo minimali, e quindi poco emozionali, non così coinvolgenti da reggere il paragone con la realtà. Quindici anni fa, quando ci si entusiasmava per Second Life, che per primo offriva la possibilità di una vita virtuale, si pensava che nel giro di non molto tempo si sarebbe arrivati a soluzioni strabilianti. In effetti queste sono arrivate, ma in un altro ambito, nei videogame da utilizzare con le console. Nel caso delle piattaforme online, è tutto più complicato, soprattutto perché l’alta qualità comporta dei tempi di scaricamento proibitivi. D’altra parte, se non si risolve questo problema, si richia di arenarsi. Le gallerie virtuali devono catturare, entusiasmare, provocare stupore, se no annoiano. Non c’è storia. E’ di questa opinione Luca Cableri, uno che di arte della meraviglia se ne intende, un gallerista di primissimo piano, conosciuto in tutto il mondo per la sua capacità di emozionare con pezzi unici e introvabili legati a un originalissimo concetto di Wunderkammer eclettica, le cui coordinate spaziano dagli scheletri di dinosauro all’universo iconico del cinema hollywoodiano, senza preclusioni, con la garanzia di un gusto infallibile. Ad Arezzo, a Theatrum Mundi, la galleria di Luca Cableri, si respira un’atmosfera da film, o se preferite da romanzo, da luogo sospeso tra diversi immaginari, a scelta di chi lo visita. Questo per dire che la realtà stessa a volte è giocata su diverse stratificazioni di culture e di richiami al fantastico, definendo un tessuto architettonico immateriale assai più forte del virtuale. Una mosaico di suggestioni difficile da raccontare, e a maggior ragione, quasi impossibile da tradurre in una versione digitale. Non che sia del tutto impossibile pensare a una trasposizione virtuale, ma bisogna rendersi conto che è un compito arduo, che implica tutta una serie di componenti, al pari di quanto succede nelle grandi produzioni videoludiche. «Pensare a una galleria virtuale ha senso solo se si fa un’operazione di altissimo livello», spiega Cableri. «Bisogna impegnarsi, investire, crederci, lavorare con professionisti «Non è sufficiente creare un percorso con la freccetta con cui si gira da una parte o dall’altra. Per riuscire a stupire e a coinvolgere il visitatore, bisognerebbe fare un progetto veramente incredibile, qualcosa che sia paragonabile ai videogame di successo, che costano più di un film di Hollywood. Bisognerebbe trovare soluzioni inedite, prevedere attori virtuali, effetti speciali, in poche parole emozionare. Finora non ho visto niente di simile. Eppure questo aspetto è fondamentale: quando un cliente entra in una galleria d’arte, o va a una fiera o in una casa d’aste, nell’aria si respira una fortissima emozionalità, c’è una sorta di palcoscenico tutto per lui. Nella galleria virtuale tutto questo manca».
Luca Cableri con gli artigli di Wolverine.
E’ necessario quindi creare un contesto magico, che renda i luoghi dell’arte degli spazi quasi irreali, onirici, dove si ha l’impressione di trovarsi in un’altra dimensione. E’ un’atmosfera simile a quella che ci rapisce quando guardiamo un film o quando giochiamo a un videogioco di ultima generazione: è un discorso di teatralità improvvisa e inaspettata che trasforma anche un semplice stand di una fiera in un luogo da mille e una notte. E’ questa spettacolarità che si dovrebbe regalare alle gallerie virtuali. E’ una condizione essenziale. «La direzione è questa», specifica Cableri. «Una delle più grandi gallerie d’arte contemporanea del mondo ha sposato la causa dell’entertainment, della spettacolarità e negli Stati Uniti sta allestendo uno spazio di 2000 metri quadri per offrire un’esperienza fortemente emozionale con opere di artisti di oggi». Il concetto dell’esposizione dell’arte si sposta quindi verso un’idea di racconto iper-spettacolare, da parco dei divertimenti di altissimo livello. Una connotazione che è anche nel dna delle culture digitali e dei mondi virtuali. Basti pensare che negli anni si è definita tutta una complessa estetica videoludica, che a tratti è riuscita anche a influenzare il gusto del mondo vero, contaminando le mode.
Il martello del mitico Thor.
Da parte sua, Cableri sta precorrendo i tempi. «Da cinque anni sto investendo su oggetti di scena del cinema hollywoodiano: parlo di oggetti creati per film come Star Wars, Batman, Harry Potter o Blade Runner, opere ormai entrate di diritto nella storia della cultura pop. Una volta arrivato a 100 oggetti iconici, vorrei dar vita a una grande mostra itinerante molto interattiva, che potrebbe girare in tutto il mondo». Sentendo parlare Cableri pare di vederla quella mostra, sembra materializzarsi di fronte a noi, prendono forma il martello di Thor, il mantello di Batman e i gadget di Blade Runner, quasi percepibili in un racconto che emoziona e coinvolge, prefigurando il futuro stupore. E ancora una volta la chiave di tutto è l’emozione, il saper incantare e affabulare comunicando il proprio entusiasmo ed evocando la propria meraviglia. Cose che bisognerebbe riuscire a trasbordare anche al di là dello schermo, per costruire nuovi immaginari, per esplorare nuove frontiere del sogno.
La Space Wunderkammer nella galleria Theatrum Mundi di Arezzo.